Le ultime notizie certe sulle famose Aquae Caeretanae ce le dette l’imperatore Lucio Domizio Aureliano (n. 214 p. C. m. 275 p. C.) il quale dichiarò che si trattava “delle acque termali più calde d’Italia”, mentre precedentemente lo storico e geografo greco Strabone (n. 60 a.C. m. 21 p. C.) nel suo De Geographia aveva scritto che “erano talmente famose da essere più popolate della stessa Caere”. Sulle Aquae vi è anche da ricordare ciò che annotò lo storico antico romano Tito Livio (n. 59 a.C. m 17 p. C.) nella sua Ab Urbe Condida ( una monumentale storia di Roma a partire dalla sua fondazione) “Nell’anno 535 tra i vari prodigi ci fu quello delle acque ceriti miste a sangue” (ovviamente a.C. e quindi siamo in piena epoca etrusca).
Dopo Aureliano questo sito (esteso per circa 7 ettari! – Una vera e propria grande città termale dove si abitava, si sostava e dove, fra l’altro, effettuavano la quarantena anche le quadrate legioni romane) fu completamente obnubilato scomparendo dai “radar della storia” per oltre 1600 anni e ciò addirittura fino al 1987 del secolo scorso. Fra coloro (non pochi nel corso dei secoli) che le cercarono inutilmente vanno sicuramente annoverati, agli inizi del milleseicento dopo Cristo, i due ritenutissimi geografi e storici tedeschi Philippus Cluverius (Filippo Cluverio) e Lucas Holstenius (Luca Olstenio) che “mappando”sul territorio italiano, con grande metodologia (tutta teutonica) e pazienza tutta “certosina” i siti e le pertinenze territoriali della Roma antica cercarono, per un buon lasso di tempo, senza trovarne traccia alcuna, le suddette Aquae Caeretanae. Tutto ciò fino a giungere al 1986 quando nella zona di Pian della Carlotta in prossimità della località del Sasso nel territorio di Cerveteri, a seguito di una aratura effettuata con un trattore dal proprietario del terreno fu segnalata, alla Soprintendenza Archeologica dell’Etruria Meridionale, un’ampia presenza di particolari cocci e frammenti (per l’esattezza frammenti fittili, di marmo, di vetro e numerosissimi tasselli di mosaico che erano sparsi su una grande superficie.
Una cosa questa che fece “accendere i riflettori” ( si era alla fine del 1986) alla stessa Soprintendenza che all’epoca aveva come responsabile per il litorale e la zona retrostante l’archeologa d.ssa Rita Cosentino la quale comprese subito, dopo un primo sopraluogo, che si era in presenza di una realtà molto importante ma, in quella fase, non arrivando mai a pensare alle famose Terme Ceretane. Iniziati i lavori di ricerca affiorarono subito alcune soglie in marmo, foriere di importanti elementi positivi, e così fu, perché proseguendo negli scavi archeologici, a cinque metri di profondità, furono rinvenuti i resti di due grandi vasche, quelle del calidarium e del tepidarium circondati da ben tre file di sedili in marmo, ma non solo, visto e considerato che sotto una volta brillavano dei gran bei mosaici con le loro rispettive tessere in pasta vitrea di colore blu, verde, giallo, nero e rosso a disegnare un’esplosione di fiori su campo bianco ed insieme a ciò, ad eliminare gli ultimi dubbi su cosa si era in presenza, fu rinvenuta una colonnetta votiva con su scritto: “A Giove e alle fonti delle acque ceretane”.
Ma ci fu dell’altro dagli scavi emersero pure un bustino muliebre somigliante ad una Faustina ed un pezzo di sedile con su una zampetta di leone ed inoltre furono scoperti, lungo le pareti, dei tubi di terracotta che recavano l’acqua calda per riscaldare gli ambienti. Una realtà, come all’epoca fu scritto, “di dimensioni e livello artistico decisamente eccezionali rispetto allo standard degli insediamenti noti nella zona”. Insomma per riepilogare, il mistero delle Aquae Caeretanae scomparse per secoli (con un grande cruccio da parte degli studiosi di mezza Europa) era stato risolto con la “riemersione”, dai gangli della storia antica, di due grandi vasche (appunto il calidarium ed il tepidarium), colonne, mosaici policromi, marmi di giallo antico e di Carrara con il tutto “condito”, stando alle cronache dell’epoca, da una gran bella polla di acqua sulfurea che rendeva acre l’aria tutto intorno.
Ma gli scavi dettero pure altre indicazioni a seguito del ritrovamento di tracce di legno bruciato e di vari detriti alluvionali; il segno (come dichiarò all’epoca Rita Cosentino) “che furono distrutte dai Visigoti di Alarico o da una violentissima alluvione”; (Visigoti a parte consegnatici, purtroppo, dalla storia, per quanto concerne invece l’alluvione va detto che a poche decine di metri dalle Aquae scorre, in una gran bella forra, un notevole “ruscellone” il quale all’epoca doveva avere, come tutti i corsi d’acqua del passato, una portanza ben maggiore e poi c’è da considerare che le terme sono posizionate in modo impluviale contornate da collinette, per cui con un meteo particolarmente ostile in quanto a pioggia prolungata, convergendo, come naturale, entrambe le situazioni suddette ecco come avrebbe potuto scaturire la violentissima succitata distruttiva alluvione – ndr). Ma dopo di ciò le ricerche archeologiche si fermarono per mancanza di fondi tanto è vero che, considerando come erano strutturate (normalmente) le terme romane, all’appello mancano ancora (come minimo, visti i settantamila metri quadri di estensione) il frigidarium, gli spogliatoi e la palestra. Attualmente il GATC (Gruppo Archeologico del Territorio Cerite – onlus) ha avuto dalla Soprintendenza Archeologica (la quale ha come supervisore della Zona l’archeologa d.ssa Rossella Zaccagnini) il permesso di ripulitura e lo sta facendo con la stessa équipe operativa, coordinata da Gianfranco Pasanisi, che ha già sistemato, in maniera eccellente, l’area del Laghetto al Sito UNESCO della Banditaccia a Cerveteri.
GATC che si avvale anche della capacità e della professionalità degli archeologi Flavio Enei e Stefano Giorgi. Ed a proposito della fama internazionale di cui godono le Aquae Caeretanae, chi scrive ben ricorda di quando l’ispettore UNESCO il famoso prof. Giora Solar, nella caldissima giornata del 23 luglio 2003 dopo aver ispezionata tutta la necropoli della Banditaccia dentro e fuori il recinto, già in pieno pomeriggio, espresse, proprio alla d.ssa Cosentino, il desiderio di andare a visitare le Aquae Caeretanae cosa che la suddetta archeologa della Soprintendenza riuscì a “sventare” dirottando tutta la piccola delegazione sulla più abbordabile Ceri. Chissà se in quell’ intelligente suggerimento entrò anche il poco presentabile status strutturale visto che gli ultimi interventi risalivano a prima del 1990 e non furono mai più ripresi a causa della solita “cronica” e culturalmente “tragica” mancanza di fondi.
Una situazione che la rappresentante della Soprintendenza ben conosceva avendo proprio lei condotto gli ultimi scavi archeologici effettuati ben 16 anni prima. Dimenticavo di dire che, a tutt’oggi, in molti notevolissimi spazi, circostanti ed annuncianti leAquae Caeretanae, si vedono dei frammenti ( di latercoli? mattoncini antico romani – ndr, ed altro ancora in un substrato geologico molto morbido) che sembrerebbero essere abbastanza estranei alla natura del terreno stesso; “erano talmente famose da essere più popolate della stessa Caere” (come scrisse Strabone – lgs. l’incipit dell’articolo) viene quindi lecito e conseguenziale chiedersi se quello finora riportato alla luce ( sommerso da un gran “macchione” di rovi ed intrigati cespugli) sia totalmente esaustivo del punto di vista estensivo. Fra l’altro sulla sinistra (spalle al mare) del calidarium e del tepidarium c’è un altro spesso “macchione” che copre un’altra struttura che, sebbene più piccola, impegnerà molto, anche lei, i volontari specializzati del GATC al fine dell’ennesima ripulitura finalizzata alla riscoperta delle antiche terme, sperando che, quanto prima, messa in sicurezza tutta l’area, essa possa divenire visitabile da parte tutti.
Arnaldo Gioacchini – Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO